Passa ai contenuti principali

PRELUDIO OTTOBRE 2012

Elezioni americane, ecco i candidati

Il 6 Novembre, il popolo Americano andrà alle urne per eleggere il nuovo presidente degli Stati Uniti. Si tratta di un evento che catalizzerà l’attenzione del mondo intero poiché è risaputo che questo paese nell’ultimo secolo ha giocato un ruolo centrale nelle sorti dell’intero pianeta. Pertanto, indirettamente, la scelta degli Americani condizionerà anche il nostro futuro, ed è quindi importante conoscere i due candidati.
 
BARACK HUSSEIN OBAMA
Presidente in carica, è l’esponente del partito democratico e come tutti sanno, è stato il primo presidente afroamericano della storia. La sua inaspettata vittoria del 2008 era stata accompagnata da un’ovazione generale e da un clima di grande speranza e ottimismo. Ma in questi quattro anni sarà davvero stato all’altezza delle aspettative? Sarà riuscito a mantenere le promesse? E soprattutto: sarà riuscito a fronteggiare la grave crisi economica degli ultimi anni? Bisogna ammettere che Obama ha fatto il possibile per realizzare le sue promesse. A partire dalla politica estera: infatti, dopo circa un mese dal suo mandato, ha fatto ritirare gran parte delle truppe in Iraq, e rinforzato invece le guarnigioni in Afghanistan, per combattere i talebani. Ha anche abolito la legge del “Don’t ask, don’t tell” che impediva ai militari di dichiarare apertamente la loro omosessualità o bisessualità. Ma i due provvedimenti più importanti del suo operato sono la riforma finanziaria e quella del sistema sanitario. Con la sua riforma approvata nel Luglio 2011, Obama ha diminuito i poteri di Wall Street e soprattutto ha aumentato il livello di supervisione sulle grandi istituzioni finanziare da parte della Federal Reserve per evitare una situazione come quella del 2007, sfociata nella crisi economica che tutti conosciamo. Infine con la “Obamacare”, il presidente ha profondamente mutato il sistema sanitario del paese. In America, la sanità non è pubblica come in Europa, ma appartiene ad agenzie private di assicurazione. In Italia, per esempio, paghiamo tutti, tramite le tasse, la nostra copertura medica. Nel paese a stelle e striscie, le società assicurative tendevano ad assicurare persone giovani e sane e al contrario rifiutavano i cittadini malati o a rischio, in modo da ridurre le probabilità di dover effettivamente pagare le spese sanitarie di un individuo, perdendoci economicamente. Dopo questa riforma questo comportamento non è più possibile. Inoltre il provvedimento rende accessibile l’acquisto di un’assicurazione anche ai meno abbienti tramite aiuti economici. Infine, incoraggia ancora di più tutti ad assicurarsi, multando coloro che non vogliono acquistare una copertura assicurativa. Nonostante gli sforzi, la situazione dello Stato è ancora grave, e il tasso di disoccupazione è altissimo, questo è il principale motivo per cui alcuni pensano che Obama non sia all’altezza della situazione.
 
WILLARD MITT ROMNEY
Ex governatore del Massachussets è il candidato repubblicano. E’ un uomo molto ricco ed appartiene alla comunità religiosa dei Mormoni, una branca del cristianesimo diffusa in America. Businessman di indubbio successo, a capo di una compagnia finanziaria, sa di certo il fatto suo su tutto ciò che riguarda i soldi. La politica di Mitt Romney è essenzialmente opposta a quella del rivale. Inoltre, il repubblicano focalizza la sua attenzione sulla risoluzione dei problemi economici, tralasciando questioni sociali come l’aborto, la parità tra sessi nel mondo lavorativo, il matrimonio omosessuale o l’istruzione. Promette che non verranno più fatti tagli al settore militare, e quindi si tornerà ad una politica estera più “aggressiva”, poiché il candidato vuole un’America “più forte”. Infatti, secondo lui, il ritiro delle truppe dall’Iraq ha ridotto l’influenza dell’America, e, in generale, il suo predecessore non ha saputo gestire gli affari internazionali. Inoltre le restrizioni finanziarie decise dalla riforma di Obama non sono ben viste da Romney, il quale ritiene che, per il bene economico, debba essere lasciato più spazio alla finanza. In fondo lui è il primo ad essersi arricchito grazie a Wall Street e, quindi, è di parte, insinuano alcuni. Vuole una riduzione di tasse, che però sembra difficile da attuare, visto il profondo deficit da risanare. Inoltre contesta la riforma sanitaria di Obama e reclama il diritto di ogni cittadino di poter scegliere se avere una copertura medica o meno, facendo appello al concetto di libertà, molto sentito nell’immaginario statunitense. Fino a pochissimo tempo fa Obama era dato per favorito, ma nell’ultimo mese Romney, attraverso alcune ottime performance nei vari dibattiti e discorsi, è riuscito a capovolgere la situazione facendo una straordinaria rimonta.
Attualmente quindi si prospetta una battaglia alla pari, e per sapere l’esito bisognerà aspettare martedì 6 novembre

Elias Ngombwa 3^I
__________________________________________________________

Manifestare?
Nuovi tagli alla scuola, nuove proteste, anche venerdì 12 ottobre scioperi e manifestazioni.
Per la prima volta mi capita di essere rimandato a casa, insieme al resto della classe. Un autentico evento! “In centro si manifesta”, penso, “perché non andare a vedere cosa accade?”.
Mi incammino quindi con un amico verso Piazza Libertà, dove è previsto il passaggio della manifestazione degli studenti. Dopo una breve attesa ecco il corteo. Non sono mai stato bravo nelle stime, ma ad occhio il numero dei partecipanti potrebbe aggirarsi intorno al centinaio, forse centocinquanta. In testa al gruppo alcuni manifestanti sostengono degli striscioni con i soliti slogan, dietro c’è anche un furgone contente degli amplificatori. Il corteo, arrivato davanti alla Loggia si ferma. Tra i tanti riconosco studenti del Marinelli e delle altre scuole udinesi, un gruppo molto variegato, nel quale tutti gli istituti sono più o meno rappresentati. Un ragazzo estrae un microfono e comincia a parlare ed io, incuriosito, mi metto in ascolto.
Guardo di nuovo il corteo, e noto un fatto: mentre il ragazzo al microfono ricorda alcuni dati puramente numerici relativi alla situazione della scuola italiana, per quanto gravi essi siano, tutti paiono annoiati: qualcuno parlotta, altri fumano o bevono birra e vodka; quando comincia a scagliarsi violentemente contro lo stato, invece, tutti applaudono, gridano e sventolano gli striscioni
“Il governo ci sta rubando il futuro!”
Applausi.
“E la polizia serva dello stato protegge i fascisti e picchia noi studenti”
Applausi e grida.
Vedo davanti ai miei occhi dei miei coetanei che combattono con obiettivi a dir poco lodevoli: la tutela del diritto all’istruzione, del diritto al lavoro e la lotta alla corruzione, ma lo fanno in un modo che ritengo sbagliato. Molti di questi manifestanti, che si definiscono anticonformisti, sono - per me - conformisti quanto gli altri; se gli si chiedessero delle opinioni sugli eventi politici darebbero più o meno tutti le stesse risposte, in linea con gli slogan gridati alle manifestazioni. Credo che sarebbe abbastanza difficile trovare delle idee veramente personali e critiche.
È vero che sono contro i fascisti, ma spesso finiscono per essere tremendamente simili a loro: chiusi al dibattito e arroccati dietro alle loro idee.
Mi chiedo anche quanto importi veramente a coloro che al microfono si scagliano contro il governo che la loro platea abbia una sua idea, un suo pensiero sulle problematiche di cui parlano o se gli basta che sventolino degli striscioni e che gridino con rabbia i soliti slogan. Questi dimostranti - mi chiedo - conoscono il funzionamento dello stato? Sono informati su quali diritti la legge garantisce loro? Oppure tutto ciò che sanno lo hanno sentito da questi oratori improvvisati che guidano i cortei? Hanno una visione critica e personale della politica e dell’economia? O pensano semplicemente che tutto sia marcio perché lo gridano alle manifestazioni? Purtroppo, invece di essere veramente alternativi spesso si finisce per combattere il “sistema” con le sue stesse armi e per essere coinvolti nella solita gara a chi grida di più, mentre le idee per il futuro rimangono comunque poche. Mentre la mia mente vaga il corteo ha ripreso la marcia: ormai stanno passando le auto della polizia che lo scortano, tre carabinieri che parlano e ridacchiano chiudono la processione. Tornando in Centro Studi incontro un’amica. Mi chiede se sono stato alla manifestazione e io le spiego le mie opinioni su ciò che ho visto. Lei mi chiede perché non sono andato a prendere in mano il microfono per dire quello che pensavo. Io rimango spiazzato, non so cosa risponderle, per un attimo mi sento colpito nell’orgoglio; poi mi viene in mente che la maggior parte di coloro che conosco la capacità critica ce l’ha eccome, ma, come me, spesso si tiene lontana dalle manifestazioni con una certa aria di superiorità, reputandole un ritrovo di gente poco raccomandabile, preferendo non esprimere apertamente le proprie idee. Penso anche a coloro che le idee preferiscono non averle, un po’ per pigrizia, un po’ perché vedono la politica come qualcosa di distante e noioso, senza pensare che essa prende decisioni che ci riguardano da vicino.
Mi rendo conto che sia non esprimere le proprie idee, sia non farsele sono dei grossi errori. Al pari dell’esprimere idee che non sono veramente personali e genuine come fanno spesso i manifestanti. Forse, se ci fosse più partecipazione, le manifestazioni non sarebbero solo un momento in cui gridare le solite accuse allo stato, fumare e bere, ma sarebbero anche un momento in cui dibattere seriamente sul nostro futuro.
Decido - per adesso - di scrivere questi miei pensieri su Preludio, non certo perché pretendo di cambiare il mondo con un articolo, ma perché spero almeno di far riflettere qualcuno. Forse, in futuro, anche io prenderò in mano un microfono per gridare la mia opinione.
Riccardo Martina 4^G
__________________________________________________________ 
 
La crisi economica tra Italia e Grecia:
perché dobbiamo sapere

Abbiamo tutti sentito parlare della crisi economica e finanziaria, ma forse per noi giovani, noi studenti, che non dobbiamo armeggiare con tutte quelle scartoffie tra bollette, fatture e estratti bancari, rimane ancora un po’ distante. Ne sentiamo parlare in televisione, ma dopo qualche settimana la notizia passa in secondo piano; ne leggiamo sui giornali, ma gli articoli spesso finiscono per diventare ripetitivi o troppo tecnici per le nostre conoscenze. Però, dobbiamo sapere che facciamo parte dei PIIGS, acronimo riferito agli Stati più indebitati e più a rischio fallimento appartenenti all’Unione Europea (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Dobbiamo sapere che il nostro spread oscilla in questi giorni attorno alla soglia dei 300 punti base e che il nostro debito pubblico è di quasi 2 miliardi di euro ossia il primo più alto in Europa e il terzo nel mondo. Dobbiamo anche sapere che le stime del tasso di disoccupazione per il 2013 danno una percentuale del 9,9% e i dati attuali di quella giovanile sono del 33,9%.
Nonostante tutto però, sappiamo che ci sono paesi in condizioni ancor più disagiate, a cui guardiamo come a un possibile scenario per il nostro futuro. Tra questi, la principale è sicuramente la Grecia.
Questo paese, patria dell’epico Omero e di Achille piè veloce, è tuttora una grande meta turistica, infatti il turismo è uno dei pochi settori da cui riceve ancora qualche entrata. Qualsiasisettore è stato toccato in maniera imponente da quest’ondata di crisi provocando una salita della percentuale del tasso di disoccupazione in un anno da 17,8% a più del 25%. Molte famiglie cercano di vendere le loro auto in quanto non se ne possono permettere il mantenimento e inoltre il costo della benzina è salito a 1,838 euro al litro. Circa 4.000 esercizi commerciali tra ristoranti e trattorie hanno chiuso i battenti a causa dell’iva che è arrivata al 23%. Insomma, la Grecia è l’emblema della crisi economica che ha coinvolto e sconvolto tutta l’Europa.
Ogni anno una decina di classi del “Marinelli” organizza la propria gita di quinta in Grecia.
“Spiagge bellissime, cittadine stupende, ma quando una bambina scalza e coi vestiti sporchi e strappati ti si avvicina per chiederti qualche monetina, e questo ti succede in ogni città in cui vai, ti rendi conto cosa c’è dietro quelle case dai muri bianchi e dal tetto blu, quei negozietti pieni di cianfrusaglie, quel mare trasparente e quelle cittadine arroccate sui promontori al posto di antiche fortezze.”
Così commenta una studentessa appartenente a una di quelle classi.
Sconvolgente quindi pensare come il cuore della civiltà micenea, una volta tanto splendente, sia stato messo in ginocchio dal progresso a cui non è riuscito a tenere testa.

Eleonora Gennaro 5^I
__________________________________________________________
 
Hanno condannato il banchiere dei poveri
Condannato da un’assoluzione. È oramai del maggio scorso la notizia che Muhamad Yunus, conosciuto come il “banchiere dei poveri”, nonostante la propria innocenza, riconosciuta ufficialmente dal governo bengalese, è stato estromesso dalla guida della Grameen Bank, che lui stesso fondò nel 1976. Era infatti questo l’ultimo appello possibile e dunque ora per il direttore della Grameen non vi sarà altra alternativa se non lasciare il proprio incarico.
Ma andiamo con ordine. A partire dal 2010 il direttore della Grameen fu investito da una serie di accuse ignominiose riguardanti due principali punti: in primo luogo fu additato come un cinico speculatore a causa dei tassi d’interesse dei suoi prestiti, molto più alti di quelli delle normali banche commerciali, ma fatto ancor più rilevante gli venne contestato di aver intascato dei fondi stanziati dal governo norvegese per la sua banca. I giornali non aspettavano altro e subito si scagliarono contro Yunus pronti a “fare notizia”, ignorando contro ogni etica professionale le spiegazioni che pronte giungevano dal premio Nobel. Infatti, se riguardo agli elevati tassi d’interesse qualunque economista potrebbe spiegare che un instituto di microfinanziamento ha dei costi pratici superiori a banche commerciali (ad esempio non richiede immobili a garanzia), a proposito dell’addebito di frode Yunus diede ogni chiarimento immediatamente. Egli informò i giudici di aver solamente destinato la somma ad un’altra organizzazione no profit, Grameen Kaylan, che dà servizi sanitari a persone povere. Tutto ciò solamente al fine di evitare di dover pagare il 40% di tasse a causa di un’esenzione fiscale che stava per scadere. Infine non si potrebbe neanche ritenerlo l’unico colpevole, considerando che la decisione di effettuare la transazione fu presa dall’intero CdA (di cui peraltro fanno parte anche alcuni membri del governo del Bangladesh). Dunque tutti dubbie accuse che sono stati riconosciuti infondati. Eppure, pur riconoscendo la totale innocenza di Yunus, il governo bengalese lo ha costretto ha lasciare il proprio incarico tirando in ballo un fantomatico limite d’età per i direttori di banche. Forse ancor peggiore è stata tuttavia la condotta delle testate giornalistiche che, al solo scopo di aumentare la tiratura, hanno volutamente omesso la parte più sostanziosa e verace di questa vicenda ritraendo l’oramai exdirettore della Grameen Bank alla stregua di un cinico usuraio. Tutti questi giornali non hanno avuto alcuna remora a distruggere la reputazione di un esempio di onestà quale Yunus, che in questi anni è divenuto celebre solo ed esclusivamente grazie al proprio encomiabile servizio alla società. Dunque per chi avesse avuto la gentilezza di giungere alla fine di questo probabilmente noiosissimo articolo, ma soprattutto per chi ne condividesse i contenuti, l’invito è di sottoscrivere la campagna firme in favore del Premio Nobel organizzata da Avaaz.org.

Muhamad Yunus
Saverio Papa 4^G
__________________________________________________________
 
Yunus, una vita dedicata agli ultimi

Yunus, economista bengalese di fama mondiale, dopo gli studi universitari e grazie al contatto diretto con gli strati sociali più bassi si rese ben presto conto del profondo divario che separava (e purtroppo tuttora separa) i modelli economici teorici dalla vita reale. Questa lontananza era ancor più evidente in un Paese come il Bangladesh, dove il 40% della popolazione non può soddisfare i propri bisogni alimentari minimi giornalieri. Per questa gente non c’è un futuro. O perlomeno non c’era prima che Yunus ideasse il microcredito su cui si fonda la sua banca. Costituendo la Grameen Bank, difatti, si propose di raggiungere quella moltitudine di persone che, vivendo in condizione di estrema povertà, venivano considerati inaffidabili dalle banche perché sostanzialmente nullatenenti e dunque non ne suscitavano l’interesse. A tal proposito l’idea del microprestito: il primo prestito, concesso a un gruppo di donne del villaggio di Jobra (vicino Chittagong, città natale di Yunus), fu di soli 27 dollari americani. La vera garanzia di restituzione del denaro in questo caso non era tanto la disponibilità di capitale o di immobili da eventualmente ipotecare, bensì la certezza dei debitori che quella che era loro concessa era una possibilità di uscire dalla miseria, e sarebbe stata l’unica. E difatti i tassi di restituzione del prestito sono sempre stati altissimi(oltre il 99%), tanto che da allora la banca ha erogato più di 5 miliardi di dollari ad oltre 5 milioni di richiedenti. Altra peculiarità della Grameen Bank fu poi la predilezione per clienti femminili e questo per due principali motivazioni: il perseguimento dell’emancipazione femminile in particolar modo nelle società più regredite e, in secondo luogo, la certezza che i prestiti concessi alle donne andavano a sostentare le famiglie. Dunque un impegno sociale enorme ed ad ampio raggio che portò Yunus a conseguire una lunga trafila di riconoscimenti fra cui spicca ovviamente il Premio Nobel per la pace del 2006.
 



Saverio Papa 4^G

__________________________________________________________
 
Tributo ai Beatles
 
Correva l’anno 1962, quando, in una mattinata piuttosto nebbiosa del 5 ottobre, nei negozi di dischi di una Londra ancora silenziosa, arrivò un nuovo 45 giri, destinato a segnare una nuova era nel campo musicale. Sul lato A, il brano “Love me do”, sul lato B del disco, “Ps I love you”. Probabilmente nessuno avrebbe scommesso un penny in favore dei Beatles, neonata boyband composta da quattro ragazzi di Liverpool che, come tanti, sperano di emergere. Paul McCartney (voce, basso), George Harrison (voce, chitarra), Ringo Starr (batteria, voce) e, ovviamente, John Lennon (voce, chitarra ritmica). I mitici anni Sessanta. Sono anni di riscatto, segnati da una grande rivoluzione ideologica e culturale guidata dai giovani e dalle donne, sono anni in cui i sogni si possono avverare.
I Beatles cantano, accompagnando questo clima di fermento. Il loro rock, irriverente e spumeggiante, fece il giro del mondo tanto che dopo pochi giorni si parlò già di Beatlesmania. Le giacche senza colletto, che indossarono i Beatles nelle loro performance, e il loro taglio di capelli divennero un must. Le loro personalità, un po’ fuori dal comune, garantirono loro un successo senza precedenti. La causa di questa popolarità è ancora oggi oggetto di studio nelle università di tutto il mondo, ma si può dire senza dubbio che essi, meglio di chiunque altro, abbiano saputo interpretare l’essenza della società nella quale vivevano. Nel 1965, la Regina Elisabetta II, li nominò Baronetti con una cerimonia ufficiale a Buckingham Palace. L’ultimo concerto dal vivo si tenne a San Francisco nel 1969. Un anno dopo, uscì l’ultimo disco, “Let it Be”. In otto anni di attività, dal 1962 al 1970, i Beatles vendettero 1 miliardo di dischi, diventando cosi il gruppo musicale più conosciuto di sempre. Cantarono canzoni del calibro della malinconica Yesterday ,dell’intramontabile All you need is Love, della bellissima All my life, dell’infinita Lemon tree, che tutti, almeno una volta nella vita abbiamo -o dovremmo- sentire. Qualche mese più tardi, nell’aprile del’70, Paul McCartney annunciò pubblicamente lo scioglimento del gruppo, causato da malumori interni. Cosa fecero i fantastici 4 dopo la loro ‘separazione’? Iniziamo con John Lennon, uomo che affascinava con la sua stranezza. Nel 1968 conobbe la giapponese Yoko Ono che seppe rubargli il cuore. Tentò di raggiungere il successo personale trasferendosi a New York ma proprio nella Grande Mela venne ucciso nel 1980 da uno psicopatico, che gli piantò in corpo 4 colpi di pistola. Paul McCartney, non aspettò nemmeno l’uscita di “Let It Be”, poiché era desideroso di iniziare la sua carriera da solista. Negli anni Novanta riprese i contatti con Harrison e Starr, con i quali portò a termine una serie di documentari e album con brani inediti. Nel 1997 la regina Elisabetta lo nominò cavaliere. Ad oggi, Sir McCartney vanta varie apparizioni di spicco in tutto il mondo, l’ultima delle quali alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra 2012. George Harrison , aveva solo 27 anni quando la band si sciolse. Intraprese la carriera individuale sia come musicista, produttore e regista. Harrison creò la Material World Charitable Foundation con la quale supportò i progetti benefici di tutto il mondo, decidendo poi di donare parte dei guadagni dai suoi album successivi a onor di causa. Nel 1998 dichiarò pubblicamente di aver sofferto di un tumore alla gola e nel 2001 un tumore al cervello, ormai incurabile, ne provoco la morte immaturaa soli 58 anni. Ringo Starr, come Harrison, si dedicò sia alla musica che alla cinematografia. Alla fine del 1973 Starr fu in testa alla classifica americana con l'album Ringo. Dopo svariati anni di pausa, riprese ad esibirsi dal vivo nel Duemila. Dopo 50 anni dal loro primo singolo dei Beatles si sente ancora parlare. Come disse George Harrison in un intervista: « Qualsiasi cosa che abbiamo fatto c'è ancora e ci sarà per sempre. Quel che c'è, c'è, non era poi così importante. E un po' come Enrico VIII, o Hitler, o uno di quei personaggi storici sui quali si fanno sempre vedere dei documentari: il loro nome resterà scritto per sempre e senza dubbio lo sarà anche quello dei Beatles. »

Micol Sartori 4^P
__________________________________________________________
 
Una "vacanza" e un'esperienza di vita
 
Intervista a Erica, studentessa che questa estate ha deciso di passare un mese presso il centro “Giovani Kamenge” di Bujumbura, centro che si propone di promuovere una cultura di pace nella capitale burundese ancora sconvolta dalla recentissima guerra civile, per vivere in prima persona una vera e propria esperienza di solidarietà.
Come è nata questa tua idea di passare le vacanze estive in un luogo molto alternativo come il Burundi?
Tutto è partito con l'incontro che la professoressa Candussio ha indetto ad aprile dell'anno scorso nel quale erano presenti Claudio Marano, fondatore del Centre Jeunes Kamenge in Burundi, e una ex-marinelliana che si è dedicata molto al volontariato e al servizio civile nella capitale di questo Stato, Bujumbura. Ho sempre avuto il pallino del volontariato, anch'io, e dopo aver sentito tutte le testimonianze sull'importanza del centro me ne ero come innamorata, anche se non credevo che ci sarei andata veramente.
In questo tuo viaggio hai trovato riscontri del tipico stereotipo del continente africano, ovvero povertà e miseria?
Certo, povertà e miseria sono la cornice di quell'ambiente poco più a sud dell'equatore. Devo però aggiungere che non è tutto come te lo descrivono. Strade terrose, molto sole, gente vestita in maniera che a noi pare "improbabile", tutto questo c'è, ma c'è molto altro. Hanno anche delle strade proprio come le nostre, numerosi hotels con sì e no cinque stanze -disabitate, per altro- e molte farmacie, dipende ovviamente da dove ti trovi.
Questa tua avventura ti ha aiutato a crescere? E eventualmente come?
Dire che sono cresciuta è riduttivo. Mi sono realmente messa faccia a faccia con quello che vuol dire avere una mentalità aperta, e, devo tristemente ammettere, all'inizio ero veramente chiusa.
Tutto mi dava fastidio, gli odori, le persone pressanti, il fatto che mi confessavano che erano innamorati di me dopo cinque minuti da quando mi ero presentata solo perchè ero una "muzungu" -persona bianca. Alla fine ho aperto la mia mente e i miei orizzonti, mi è servito veramente tanto.
Uno può farsi tutte le idee che vuole, ma quando ci si trova davanti a certi problemi, tutto viene cancellato.
Consiglieresti l’esperienza e se sì perché?
Consiglierei a chiunque di fare un'esperienza del genere, un po' per i motivi detti prima, un po' perchè si rendano conto che non è qualcosa di impossibile.
Non mi sento speciale perchè mi sono fatta 16 ore di aereo, in tutto, per stare un mese lì, perchè chiunque può farlo. Ti mettono in testa che certi posti sono in un modo, omettono tre quarti delle informazioni che dovrebbero dirti, ti deviano. Devi vivere certe emozioni.
Sarò scontata, ma per me nulla è impossibile se tu non lo credi tale.
Saverio Papa 4^G
__________________________________________________________

Lignano: "Non potevamo andare via così..."

Per un mese silenzio, nessuno sa chi possa aver commesso un gesto simile, solo tracce di DNA che rivelano la presenza sul luogo del delitto di un uomo e di una donna, niente di più. I coniugi Burgato, Rosetta e Paolo, nella notte fra il 18 e il 19 agosto vengono brutalmente assassinati nel loro garage di via Annia, a Lignano Sabbiadoro. Poi finalmente una svolta alle indagini: nei pressi di Salerno viene arrestata una 21enne cubana Lisandra Aguila Rico, residente da dodici anni in Italia, che, assieme al fratello 24enne Laborde Reiver Rico, lavora in una gelateria della località balneare friulana, proprio di fronte al negozio dei Burgato. Ricondotta in Friuli viene sottoposta ad un interrogatorio, durato circa sei ore, durante il quale viene a galla la verità: sono stati proprio lei ed il fratello, durante una rapina che aveva lo scopo di procurare denaro per aiutare quest’ultimo che si trovava in difficili condizioni economiche, a compiere l’omicidio. Avevano architettato tutto, tranne il tragico epilogo: i due ragazzi, vestiti con abbigliamento scuro e dotati di passamontagna, si preparano a entrare nella casa dei coniugi, con loro avevano anche due coltelli, di differenti dimensioni e una corda che Lisandra afferma di non aver mai visto prima dell’omicidio. Giunti in via Annia si appostano, aspettando che Rosetta e Paolo rientrassero dal lavoro. Tutto succede in un attimo lei aggredisce la donna e lui blocca il marito che purtroppo riconosce la voce del giovane, chiamandolo più volte ‘Rei’ firmando così la loro condanna a morte. Fuggiti rapidamente dal luogo del delitto i due giovani raggiungono la stazione dei treni di Latisana, dove speravano ci fossero corse che li avrebbero portati altrove. Adesso la ragazza è nel carcere di Trieste, mentre il fratello è scappato a Cuba, dove, condotto a L’Avana subisce un interrogatorio vero e proprio. Sfortunatamente a tutto oggi la polizia italiana, non è riuscita ad ottenere l’estradizione, per processare nel nostro stato Laborde, ma c’è ancora una speranza ed è la mamma dei due ragazzi, che risiede in Italia, e che avrebbe intenzione di andare a Cuba per convincere il figlio a costituirsi. Purtroppo, da diverso tempo stiamo assistendo, sempre più, a episodi di violenza all’interno delle mura domestiche, da parte di sconosciuti che con una scusa qualsiasi entrano nella nostra casa è ci derubano, quando va bene, delle nostre cose. Quanti anziani vengono imbrogliati, da finti funzionari pubblici, che riescono a farsi consegnare la loro povera pensione, guadagnata con fatica; approfittano dell’ingenuità di persone che proprio a causa della loro età sono più indifese. E’ proprio di poco tempo fa, l’intrusione a casa di un anziano a Precenicco, che viene anche picchiato; pare che il colpevole sia stato preso. Ed ancora prima, due anziani coniugi vengono uccisi durante una rapina a casa loro. Viviamo in una società strana, che pare non avere più rispetto, né per le cose e purtroppo nemmeno per la vita degli altri; entrano nella nostra casa, che è l’unico posto dove ci sentiamo protetti, dove possiamo essere noi stessi, e violano la nostra vita, così, come se niente fosse e quando ci va male ci tolgono anche la vita. Purtroppo non sempre i colpevoli vengono presi e se questo avviene, non sempre la pena è pari alla colpa commessa ed a volte non è nemmeno certo che vengano puniti come dovrebbero. Tutti ci auguriamo che la vicenda dei Burgato abbia l’epilogo che ci si aspetta, con i colpevoli consegnati alla Giustizia, possiamo solo sperare che episodi del genere non debbano più accadere, e questo potrà succedere solo quando gli uomini impareranno a portare più rispetto per la vita altrui.
 

Elisa Putelli 3^L
__________________________________________________________

Da che parte stare?
Volendo avviare una rubrica incentrata sulla legalità, certamente importantissime sono le parole del magistrato Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, intervenuto per la terza volta al convegno organizzato il settembre scorso dal centro Balducci di don Di Piazza.
Scarpinato è difatti una delle voci più autorevoli della lotta alla mafia, avendo collaborato con Falcone e Borsellino nel pool antimafia prima del periodo stragista, ma soprattutto avendo preso parte ai più importanti processi (fra questi quelli per gli omicidi eccellenti di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa o quello contro il senatore Giulio Andreotti). Molti i temi da lui trattati in oltre un’ora di intervento, a partire dall’importanza del ruolo etico assunto da Palermo negli anni caldi della lotta contro antimafia. Se difatti qui si trovava il centro del potere delle cosche, è altrettanto vero che proprio il fatto che, ad esempio, non ci fosse via in cui non fosse avvenuto un delitto costrinse e costringe i palermitani alla riflessione e a coltivare quello che lo stesso magistrato chiama “il vizio sovversivo della memoria”. “I palermitani rivedono ogni giorno lo stesso film” continua Scarpinato ed è proprio ciò che li obbliga a scelte drammatiche e radicali. Preti, politici, magistrati, giornalisti, medici, gli stessi cittadini, a tutti è negata una via di mezzo ed è imposto di schierarsi: “bene” o “male”? Tanti sono i casi a proposito, a partire da don Pino Puglisi, il quale fu ucciso poiché non si limitò a celebrare le funzioni domenicali, ma tentò di sottrarre giovani alla morsa della criminalità, fino a giungere a Paolo Giaccone, medico legale che subì la stessa sorte per essersi rifiutato di modificare una perizia, unica prova che avrebbe potuto portare in galera un boss omicida. Tragicamente, se tanti sono stati gli esempi di uomini e donne che con coraggio e determinazione hanno saputo schierarsi dalla “parte giusta”, tanti, tantissimi altri sono quelli in cui è stata invece la paura a vincere o ancora peggio dove a trionfare è stato l’opportunismo di chi, trovandosi di fronte al fardello insostenibile di dover decidere con chi stare, non solo si è rassegnato a convivere col cancro della mafia, ma lo ha addirittura sfruttato per fini personali, facendo sì che essa si insinuasse in molti settori della società (primo fra tutti la politica purtroppo).
 
Saverio Papa 4^G
__________________________________________________________
 
Paul or Faul?
la vera storia della morte di Paul McCartney
 
Sono appena trascorsi cinquant’anni dall’uscita del loro primo singolo e non c’é uomo, donna, ragazzo, nonno o bambino su questa Terra che non li abbia mai ascoltati o perlomeno sentiti nominare. Sì, sono proprio loro: i Beatles! Li conosciamo benissimo, sono George Harrison, Ringo Starr, John Lennon e Paul McCartney: “the Fab Four”. Ma se i “fab four” non fossero solo four? O meglio, se ce ne fosse un “quinto”, subentrato in sostituzione di uno dei quattro originali? Questo é quello che ipotizza una delle più diffuse e conosciute teorie del complotto nel mondo del Rock, nota come “Paul Is Dead” (P.I.D.). La leggenda metropolitana si basa su un presunto incidente d’auto avvenuto nel novembre 1966, nel quale il bassista del gruppo (Paul, appunto) sarebbe rimasto coinvolto e ucciso e sui numerosissimi indizi che il resto della band avrebbe disseminato sulle copertine dei dischi e nei testi delle canzoni per far intuire al mondo la veritá tenuta nascosta. Nel 1966 la notizia dell’ipotetica morte del Beatle non riscosse molto scalpore. Nel 1969, però, durante una trasmissione radiofonica sulla rete WKNR di Detroit, il dj Russel Gibb riportò il contenuto di una misteriosa telefonata ricevuta la sera precedente in cui un ascoltatore presentatosi come “Tom” gli aveva confidato di essere a conoscenza della vicenda riguardante l’occultato decesso del famoso cantante e musicista, indicando anche numerosi indizi presenti nei dischi del gruppo. Scoppiò allora una “mania nella Beatlemania” e in tutto il Globo frotte di fan presero a setacciare meticolosamente tutte le pubblicazioni della band di Liverpool, armati soprattutto di pazienza e trovando tracce nascoste persino nei dischi precedenti alla presunta morte di McCartney, come “Help!” e “Rubber Soul”. Anche negli album successivi sembrano emergere indizi talvolta inquietanti, presumibilmente basati sul culto dei morti di varie civiltà orientali o degli Eschimesi e non mancano possibili allusioni alle ferite alla testa che avrebbero causato il decesso, per non parlare di tutti gli indizi che indicherebbero il rimpianto degli altri Beatles nei confronti del loro caro amico e compagno. In un gran numero di canzoni, persino fra quelle pubblicate dai singoli artisti dopo lo scioglimento del gruppo, si trovano dei versi che potrebbero alludere alla morte del bassista o ad incidenti d’auto. La canzone “A Day In The Life” conterrebbe, nei versi “He blew his mind out in a car” e “He didn’t notice that the lights had changed/A crowd of people stood and stared/They’d seen his face before/Nobody was really sure”, i riferimenti più espliciti e la descrizione dell’incidente. Il testo, in realtà, si riferisce allo scontro in cui il 18 dicembre 1966 perse la vita il giovane nobile inglese Tara Browne, amico di Paul e di suo fratello Mike.
Sebbene tutte le “prove” contenute nei dischi siano facilmente confutabili attribuendole al caso o alla subdola beffa operata dai Beatles stessi, nel 2009 l’anatomopatologa Gabriella Carlesi e l'informatico Francesco Gavazzeni (che avevano già lavorato insieme a diversi illustri casi nel campo dell’identificazione mediante craniometria, scienza che si occupa della misurazione del cranio in rapporto all’antropologia e all’anatomia comparata) sono riusciti a far sorgere delle nuove perplessità. Dai loro studi, effettuati confrontando le fotografie scattate prima e dopo il novembre 1966, risulta un’incompatibilità fra le immagini molto superiore al limite massimo convenzionalmente accettato, mentre persino le due curve mandibolari appaiono nettamente differenti. Ciò potrebbe essere quasi sufficiente per affermare che si tratti di due persone diverse. Gli elementi analizzati non possono essere modificati neppure dal più complesso intervento chirurgico e sono ritenuti validi per l’identificazione al pari delle impronte digitali. Risulta quindi difficile persino parlare di “possibilità di errore”, il che alimenta ancora una volta il germe del dubbio. Ma come può essere stato possibile trovare un sosia di Paul, sottoporlo ai necessari interventi estetici e insegnargli a suonare, cantare, parlare come lui, il tutto a tempo di record? E come è possibile che questo sosia (poi denominato “Faul” e da taluni identificato in un ex poliziotto canadese) possa essere talentuoso quanto il Paul ”originale” ed essere stato in grado di produrre da solo tutta l’imponente discografia successiva al 1970? Tutto ciò è davvero improbabile, perciò, cari fan, non è il caso di preoccuparsi. Continuiamo a pensare al vivace settantenne che abbiamo recentemente visto intervenire all’apertura delle Olimpiadi e al Giubileo della Regina come allo stesso giovanotto di Liverpool che dal lontano 1965 sentiamo cantare ”Yesterday”. È sempre lui, uno di quei quattro genii che hanno così profondamente segnato tutta la musica dell’ultimo mezzo secolo.
Camilla Persello 2^A
__________________________________________________________
 
Il "Marinelli" ad Aquileia
 

452 d.C, Aquileia cerca strenuamente di resistere ai continui assedi di Attila, re degli Unni. La popolazione è decimata, il cibo razionato, i soldati stanchi. Il comandante è costretto a prendere una decisione drastica: costruire una nuova cinta muraria che avrebbe potuto salvare la città, tuttavia il progetto prevedeva l'estromissione del foro -cuore politico della città- dalla zona protetta. Durante la notte viene eretto un muro di forma a zig-zag così da poter sopperire alla carenza di soldati e permettere alle poche sentinelle una maggior visuale. Ma il destino di Aquileia era già segnato. In poco tempo il silenzio cadde sulla città e la polvere del tempo ricoprì ciò che era stata l'ultima speranza per Aquileia, facendo sì che il complesso murario fosse dimenticato.
Se questa storia facesse parte di un film, sarebbe arrivato il fortunato protagonista, che chinandosi a terra, avrebbe riscoperto immensi tesori. In realtà il sito delle mura Aquileiesi è stato esaminato a lungo da un team di archeologi che hanno riscoperto l'antica costruzione. Dopo questo studio preparatorio si è passati al lavoro di scavo ed è qui che entriamo in gioco noi: il Gruppo Archeologia del “Marinelli”. L'attività in cui siamo stati coinvolti per alcune giornate consisteva nel riportare alla luce una zona della cinta muraria, armati di tutti gli strumenti che il bravo archeologo deve possedere.
All'inizio vedevamo solo uno sterile cumulo di terra, ma in poco tempo cominciarono ad affiorare le prime testimonianze del passato: frammenti di vasellame, pareti di anfore, tessere di mosaico, fondi di bicchieri, fibule in bronzo e perfino alcune monete. E' inutile dire che ogni ritrovamento suscitava in noi grande orgoglio e desiderio di continuare lo scavo.
Alla fine di questo stage siamo riusciti finalmente ad ammirare le linee del complesso e a renderci conto dell'importanza del nostro lavoro, tanto che il responsabile del team l'ultimo giorno si è avvicinato a noi e ci ha confidato un suo grande sogno: trasformare questa parte di Aquileia ancora sconosciuta a molti in un percorso di passeggiata archeologica tra le testimonianze del nostro passato. Il suo augurio era quello che noi potessimo un giorno portare qui i nostri figli e mostrare a loro con fierezza il frutto degli sforzi compiuti.

Sara De Luca & Ginevra Battello 4^C
__________________________________________________________

Intervista ad Andrea Coda, difensore bianconero

Siamo andati a intervistare il difensore Andrea Coda, uno dei pilastri dell'Udinese e simbolo della rosa di Mister Guidolin.

Andrea, da quanti anni giochi con l'Udinese?
«Questa è la 7^ stagione e ho ancora 5 anni di contratto. A Udine sto da Dio, è come se fosse una seconda casa. Ci troviamo benissimo sia io che la mia famiglia.»

Infatti proprio due stagioni fa hai rifiutato varie società tra cui in particolare il Bari. Come ha fatto l'Udinese a convincerti a restare?
«Io venivo da 2 anni di infortunio e non me la sentivo di cambiare aria, anche perchè non avevo dato all'Udinese quello che avrei voluto dare. Sono rimasto; poi, però, purtroppo alla fine di quella stagione mi sono fatto male al ginocchio: al crociato anteriore e al menisco cornoposteriore. Questo infortunio mi ha tenuto fuori a lungo, infatti la scorsa stagione ho giocato solo 7 partite. Adesso però sono in forma, il ginocchio risponde bene e quindi posso dire di essere tornato in pista.»

Quindi ti senti completamente recuperato dopo l'infortunio?
«Si si è andato tutto bene.»

Cambiando argomento, cosa pensi di tutto il denaro che gira intorno al calcio, in particolare quando un giocatore viene acqustato da una società e arriva a guadagnare fino a 14 milioni di euro a stagione?
«(Ride) Sono cifre da capogiro. Sotto tutti i punti di vista questo è un lavoro: inizi da bambino, giocando per passione con i tuoi amici, però è a tutti gli effetti un lavoro. C'è il rischio che magari ragazzi giovani o stranieri si montino un po' la testa. Bisogna avere la testa costantemente sulle spalle e cercare comunque di crearsi una famiglia e di mettere da parte qualcosa per i figli. Però sono cifre incredibili, che, per esempio, i miei genitori lavorando non arriverebbero a guadagnare nemmeno in 3 vite. Questo deve far riflettere.»

Secondo te, l'Italia è un paese in cui un giovane riesce ad emergere e ad esprimersi nel miglior modo? Nel calcio ma anche nella vita...
«Sicuramente l'Italia per quanto riguarda il rendimento dei giocatori è sempre stata nelle primissime posizioni. Ci sono ottime strutture ed ottime società giovanili e questo aiuta un ragazzo ad emergere. La cosa più importante, però, come ti ho detto prima, è rimanere sempre con i piedi per terra senza montarsi la testa perchè il difficile è confermarsi.»

Qual è il segreto dell' Udinese che in questi anni è riuscita a restare sempre al vertice della classifica di serie A?
«Sicuramente la mentalità di portare a casa prima i quaranta punti necessari per la salvezza per poter poi giocare con spensieratezza le partire rimanenti ti aiuta a non avere troppe pressioni. Ovviamente poi servono anche una buona società, un grande allenatore e dei bravi giocatori, senza dimenticare la coesione del gruppo che in una squadra è fondamentale.»

Parlando invece dello Sporting Braga, adesso l'ostacolo, soprattutto mentale, è stato superato o influisce ancora il ricordo?
«(Sospira) E' andata male per il secondo anno consecutivo e ci dispiace molto, anche perchè per Udine non è facile arrivare sempre in queste posizioni. Volevamo regalare un'altra Champions, perchè almeno una, nel 2005, per fortuna è stata giocata, a noi, alla società ed ai tifosi ma purtroppo non ci siamo riusciti. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta a coronamento di due anni splendidi, però...pazienza. All'inizio l'eliminazione ha un pò pesato, soprattutto dopo il risultato dell'andata quando avevamo fatto un gol in trasferta che vale quasi doppio, però ci siamo rialzati subito. Ora la classifica è brutta, però dobbiamo ripartire dalle prestazioni perchè poi i risultati arriveranno.»

Un ultima domanda...cosa ti senti di dire ai tifosi dell'Udinese?
«Io mi sono espresso tante volte con i tifosi dell'Udinese, che mi hanno sempre fatto sentire a casa e dimostrato il loro calore. Questo lo porterò sempre dentro di me e sarò loro sempre grato.»

Bene, grazie Andrea, arrivederci.
«Grazie a voi»

Riccardo Facile,  Alessandro Surza &
Massimiliano Vasta 4^I
 
 
Guarda il video dell'intervista ad Andrea Coda:
 
 
__________________________________________________________
 
Uomini soli

Pio la torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.
Di loro si sente parlare sporadicamente; vengono nominati in radio o in televisione, talvolta.
Di quattro eroi nazionali si sente il nome, si conosce la fama. Si sa di loro che sono stati uccisi, si dice, per mano della mafia.
Due erano magistrati, assassinati l’uno in via d’Amelio, l’altro lungo un’autostrada nei pressi di Capaci, entrambi in un’esplosione.
Dalla Chiesa era un generale.
Qualcuno sa che La Torre era un politico, che si dedicò alla lotta alla mafia.
Questo è ciò che si sa su quattro eroi nazionali.
Tutto il resto viene raccontato da Attilio Bolzoni, in maniera appassionata, in un concentrato di esperienze stampate su carta, di emozioni tradotte in lettere.
Bolzoni riunisce le storie di questi protagonisti dell’antimafia in un unico libro, evidenziando in tal modo un’aspetto della loro vita che li accomuna: sono uomini soli, alcuni degli esempi più rappresentativi di una categoria di “uomini coraggiosi”, che difendono la propria nazione dall’inquinamento della mafia, spinti unicamente dal sentimento di amore verso la patria e dalla forza di volontà, disarmati di ogni altro potere, abbandonati a se stessi e alla propria lotta solitaria dalle istituzioni, dallo stesso stato e dall’omertà di altri vili “cittadini”.
Le vite del politico Pio La Torre, che ebbe il coraggio di proporre una legge per il riconoscimento del reato di associazione mafiosa e una norma per la confisca dei beni posseduti da mafiosi, di Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale che combatté prima le brigate rosse e poi Cosa Nostra, dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che fecero tremare la mafia siciliana, per la loro persistenza e le loro capacità: Bolzoni racconta come lo Stato abbia assassinato questi “uomini coraggiosi” con la complicità dei boss mafiosi, e non viceversa.
Nel 2012 in Italia sono più di 30 le associazioni attive nella lotta contro la criminalità organizzata di stampo mafioso. Grazie all’impegno di tutte queste persone, riunite sotto la stessa bandiera della legalità, Pio la torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e la miriade di altri innocenti condannati per la loro onestà non sono più uomini soli.

Joseph Jevan Pudota 4^H
__________________________________________________________
 
Dov'è finita la Poesia?
La poesia è morta. Crocifissa negli occhi della ragazza del 3° piano che piange senza sapere il perché e la vita che scorre e lei che non sa, nello sguardo perso del vecchio sulla panchina che dice di aspettare un tram che forse è l’inizio o forse la fine, nelle folli cadute orizzontali di stelle al neon, nei vuoti delle bottiglie di mezzanotte.
I poeti sono morti. Lorça assassinato alle spalle, Keruack ucciso, Ginsberg dimenticato, Gregory Corso finito. Hanno perso. La poesia è stata sconfitta. Leggete gli articoli morbosi di giornali che speculano sulle disgrazie, ascoltate la radio che invoca crisi, morte, guerre, epidemie, fallimenti, guardate la sincerità svenduta in piazza, l’amore esposto in vetrina sulle magliette e nei poster come pubblicità di lattine di coca- cola: vivere è paura, il cinismo è padrone della parola e delle persone, alienazione arrugginita impera nelle strade buie, nei fumi grigi, nei colli asfissiati. Dove stiamo andando, in fuga dalla parte sbagliata? Dove sono i poeti nel 21° secolo? Parole di profeti sui muri delle metropolitane? Esseri dimenticati come sputi sui marciapiedi? Perché sono nascosti nell’ ombra timorosi sensibili e incompresi?

“Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche
trascinarsi per strade negre all’alba in cerca di droga rabbiosa
hipster dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste
con la dinamo stellare nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati strafatti stavano lì a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua
fredda fluttuando nelle cime delle città, contemplando jazz
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated
e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di condomini
che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate bruciando denaro nella spazzatura
e ascoltando il Terrore attraverso il muro
che vagavano su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari chiedendosi dove andare, e andavano, senza lasciare cuori spezzati …”

Parole così lontane, versi così attuali, ancora capaci di attraversare, trafiggere, ferire.
Dov’ è la poesia oggi? Che cosa è diventata? Solamente una materia, metrica, rima, esercizi, noia? Com’è potuto succedere questo? Perché è odiata, trattata con disprezzo, sbeffeggiata, il suo spirito ribelle e libero mortificato e incatenato, la sua verità trafugata?
Abbiamo confuso la strada. Errabondi ubriachi frastornati dalla musica che spacca nelle orecchie e un silenzio assordante nel cuore in un conformismo involontario e sofferto, fuggitivi sulle strade di notti insanguinate, barbe di profeti che rifiutano l’ alba dall’ alto delle terrazze e dai bassifondi delle città, che cosa andiamo cercando?
Ogni uomo è poeta, ogni ragazzo è poeta. Ogni cuore è capace di battere, ogni voce ha la forza di urlare, ogni occhio ha imparato a piangere. In fondo è questo la poesia: una lacrima o un urlo dannato, una carezza o uno schiaffo. È in ciascuno, in ogni giovane che vuole vivere e basta, un giorno alla volta, in ogni alba e tramonto.
I poeti sono morti. Facciamoli rinascere. Non possiamo fuggire in eterno, riscoprirci nel mare della dimenticanza.
La poesia non è morta. Esisterà sempre, a fianco a noi, nei nostri umori e nei nostri dolori, nelle nostre ombre e i nostri sorrisi, nelle nostre idee e promesse.
Dicono che non si crede più in nulla, che la responsabilità è stata tradita.
La poesia è redenzione, gioia e frustrazione,è un uomo nudo in un pub affollato ,non è morta e vorrei scriverlo in ogni spazio vuoto sulla terra, in ogni silenzio e in ogni assenza, in ogni muro e in ogni pagina bianca
La poesia non è morta. I poeti non sono morti.

“Non vorrei essere Bach, Tolstoj, Gertrude Stain o James Dean.
Sono tutti morti.
I grandi libri sono stati scritti, i grandi detti sono stati pronunciati
voglio solo mostrarvi un’immagine di quello che succede qui qualche volta
anche se io stesso non capisco bene cosa stia succedendo
Io scrivo canzoni.Una poesia è un uomo nudo …
dicono che io sia un poeta”
(Bob Dylan)

Carlo Selan 3^E
__________________________________________________________
 
Guarda l'intervista al nuovo Dirigente Scolastico, professor Stefano Stefanel:
 










Commenti

Post popolari in questo blog

Moonshine, drink it all the time

di Matteo Nigris e Matteo De Cecco 5^G Forti della recente uscita di Carnelian [2015] e della risposta fondamentalmente ottima della critica specializzata, i Kill the Vultures, duo hip hop di Minneapolis costituito da Crescent Moon (rapping) e DJ Anatomy (beat, strumentali), hanno iniziato a marzo un tour europeo che vede come grande protagonista l’Italia, in cui terranno tredici date. Una di queste, grazie al contributo di Hybrida, che si occupa dal 2003 di portare musica dal vivo in zona, è risultata essere proprio Udine, nella programmatica location del bar del Cinema Visionario. Così come il cinema unisce individui dalle più disparate formazioni culturali in uno stesso luogo, così il concerto si è dimostrato essere tutto meno che un’adunanza fra patiti di hip hop: l’11 aprile (dopo un rinvio di una settimana dovuto alla nascita imprevista del figlio di Anatomy) la “fauna” che si riunisce in via Fabio Asquini è quanto mai eterogenea, quasi insperabilmente considerata la nat

Lettera al Messaggero Veneto

Giovedì 2 luglio abbiamo scritto una lettera al Messaggero Veneto in protesta ad un articolo sul Marinelli contenente informazioni imprecise e talvolta inventate, sperando di vederla pubblicata o quantomeno di ricevere qualche spiegazione. Purtroppo non è stato così e non abbiamo nemmeno ricevuto una risposta. Non ci resta allora che pubblicare qui la lettera, dando a tutti la possibilità di conoscere i veri fatti, nella speranza che, complice la viralità del web, si riesca a destare l'attenzione del Messaggero Veneto. Caro direttore, Le scriviamo questa lettera per esprimerle il nostro disappunto a riguardo di un articolo apparso sul vostro giornale domenica 28 giugno e intitolato Maturità 2015, gli studenti del Marinelli: "Udine addio, vado al Politecnico". Già dal titolo si capisce quale sarà il tono dell'articolo, ma il peggio arriva dopo. L'articolo è solcato da una serie di fatti puramente inventati. La Sara intervistata ha solo detto che proverà i

Il Combattente

La storia di Karim Franceschi, un italiano che ha difeso Kobane dall’Isis di Marco Mion 5^C Le sue mani hanno accarezzato volti e impugnato Kalashnikov e i suoi occhi hanno contemplato i sorrisi e i lutti di un popolo che, seppur ignorato dai riflettori internazionali, combatte per conquistare la propria libertà, la pace e la democrazia. Karim Franceschi è uno scrittore e attivista politico di ventisette anni che ha combattuto contro lo Stato Islamico a Kobane tra le fila dei partigiani Curdi. E’ stato ospite d’onore, assieme al giornalista Corrado Formigli, al decimo Festival Internazionale del Giornalismo tenutosi a Perugia, in cui ha presentato il suo libro “Il Combattente”. Ha raccontato in una Sala dei Notari gremita una realtà drammatica con estrema sensibilità, elogiando i valori e gli ideali che scandiscono la vita di questi combattenti. Inevitabile il confronto tra questi uomini e donne e quei partigiani che, insieme alle forze alleate, libera