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Moonshine, drink it all the time


di Matteo Nigris e Matteo De Cecco 5^G

Forti della recente uscita di Carnelian [2015] e della risposta fondamentalmente ottima della critica specializzata, i Kill the Vultures, duo hip hop di Minneapolis costituito da Crescent Moon (rapping) e DJ Anatomy (beat, strumentali), hanno iniziato a marzo un tour europeo che vede come grande protagonista l’Italia, in cui terranno tredici date. Una di queste, grazie al contributo di Hybrida, che si occupa dal 2003 di portare musica dal vivo in zona, è risultata essere proprio Udine, nella programmatica location del bar del Cinema Visionario. Così come il cinema unisce individui dalle più disparate formazioni culturali in uno stesso luogo, così il concerto si è dimostrato essere tutto meno che un’adunanza fra patiti di hip hop: l’11 aprile (dopo un rinvio di una settimana dovuto alla nascita imprevista del figlio di Anatomy) la “fauna” che si riunisce in via Fabio Asquini è quanto mai eterogenea, quasi insperabilmente considerata la natura avanguardistica e sperimentale della musica dei Kill the Vultures.
Dopo la canonica mezz’ora di ritardo, Crescent Moon prende in mano il microfono e non lo abbandona più; giusto il tempo per un pezzo introduttivo e ci troviamo subito immersi nel clima di Carnelian, che il duo esegue in buona parte. Una tempesta di archi e fiati suonati a piena potenza catapulta il pubblico, senza che questo abbia il tempo di rendersene conto, in una trance collettiva. Che si tratti di arrangiamenti jazz rap dal gusto orientale (come in “Topsoil”) o di bizzarri esperimenti in tempi dispari (“Broke”), Anatomy stupisce continuamente per la sua capacità di mettere tanta carne al fuoco nelle sue basi senza perdere la matrice squisitamente hip hop del sound, tanto che la folla non è rimasta ferma nemmeno per un istante. Mentre il DJ rimane per tutta la durata dello show seduto a gambe incrociate mantenendo gli occhi chiusi, rendendo mistica l'atmosfera, la presenza scenica del rapper è opposta: completamente calato nella parte di medium empatico fra sé e il pubblico, si dimena sul palco e carica di pathos la sua performance, superando la freddezza originaria del disco, pur riuscendo a mantenere la precisione millimetrica che lo ha sempre contraddistinto: lo sfogo di “Vandal” e i freestyle concessi durante alcune delle pause fra i vari pezzi testimoniano la sua grandissima forma. Finito il repertorio tratto dall’ultimo album, il gruppo fa una pausa e riprende proponendo alcuni dei propri pezzi storici. Non si percepisce più l’aria surreale di prima, ma solo una grande voglia di urlare a pieni polmoni, ed ecco che sul mantra di “Moonshine, drink it all the time” (opener di The Careless Flame, [2006]) lo show termina fra gli applausi scroscianti.
Sopportate le dovute attese, ecco che ci avviciniamo ad Anatomy per acquistare la nostra copia di Carnelian e, dopo aver ottenuto un simpatico autografo, cominciamo a scambiare due chiacchiere con lui e con Crescent Moon. Usciamo sulla terrazza del bar e, tra gli avventori del locale e le caratteristiche luci azzurrine, iniziamo a parlare di varie cose, a cominciare del loro ultimo disco. Chiediamo se ci sia un messaggio preciso che fa da filo conduttore fra i vari pezzi. "Penso ci siano molti messaggi- inizia Crescent Moon- l'album è stato creato nel corso di qualche anno, io e Steven (DJ Anatomy) stavamo affrontando molti cambiamenti, io ho divorziato da mia moglie e ho iniziato a lavorare come insegnante. Ci ispiriamo a ciò che é l'esperienza americana, ma non quella che tutti conoscono: un misto di povertà, l'America nera, quella indiana (io stesso sono in parte di origini indiane), quindi parliamo di cose che succedono attorno a noi."
Sempre a Crescent Moon chiediamo informazioni sul processo di ideazione e creazione dei singoli pezzi, forse l’aspetto che ci incuriosisce di più. "Anatomy ha scritto la maggioranza delle parti, poi ha chiamato altri musicisti a suonarle dal vivo. Tutto inizia con Anatomy che suona un beat a oltranza, un loop molto semplice. Io ci scrivo sopra, poi lui prende ciò che ho scritto a reagisce ad esso. Continuiamo a passarcelo e la musica comincia a svilupparsi, diventando una grande entità. È un processo molto lungo, ci sono voluti tre anni per creare il disco e continuava a cambiare nel corso del tempo."
Poi lo interroghiamo circa i suoi gusti musicali, cosa gli piace ascoltare, se si ispira a qualche artista in particolare. "È molto difficile a dirsi, sono ancora molto influenzato da alcuni musicisti che ascoltavo quando ero un ragazzino, Gil-Scott Heron e i Last Poets...anche artisti come Kendrick Lamar mi forniscono molta ispirazione, ma quando scrivo penso più alle mie esperienze di vita e cosa voglio fare, quindi non tento di suonare come qualcuno in particolare. Penso sia importante tentare di trovare la propria voce, un messaggio. Sono influenzato da così tante cose, non solo musica, ad esempio persone ed esperienze, tutto si traduce nelle nostre canzoni."
Proseguiamo chiedendogli come sono nati i Kill The Vultures, quale fosse l'idea dietro alla band "Io e Anatomy eravamo in assieme in una band, gli Oddjobs. Avevamo uno stile molto Boom Bap, Hip-Hop tradizionale, ed eravamo molto frustrati e annoiati da quel tipo di musica, quindi abbiamo sciolto il gruppo per tentare di creare il nostro sound. Se il nostro primo disco suona arrabbiato, aggressivo, questo è perché a quel tempo eravamo molto frustrati, per questo l’album suona molto come se avessimo sbattuto delle sbarre di ferro tra loro, come un’ esplosione. Quindi non è nato tutto intenzionalmente, il disco in origine doveva essere rilasciato sotto il nome Oddjobs, difatti c'erano ancora altri due MC che facevano parte del gruppo, ma la band intanto si era sciolta. Quindi tutto è iniziato come una necessità, volevamo fare musica e arte che riflettesse come ci sentivamo davvero, invece che seguire musica che già esiste là fuori."
Partendo da questo gli chiediamo cosa pensi del rap contemporaneo e, sorprendendoci un po', risponde: "Anche se il sound dei Kill The Vultures è molto diverso dalla maggioranza del rap contemporaneo, rispetto buona parte di esso. Non è tutta roba per me ma ci sono alcune cose che posso apprezzare. È divertente, ma ci sono cose che mi piacciono anche in artisti come A$ap Rocky o Drake, nonostante io faccia musica molto diversa. Ad Anatomy piace molto Young Thug, che fa trap music con bassi molto potenti, musica da club. Non è per niente simile al nostro sound ma è comunque fonte di ispirazione."
Soddisfatti della chiacchierata ci avviciniamo ad Anatomy e iniziamo chiedendogli da dove fosse venuta l'idea di chiamare musicisti addizionali per registrare, invece che usare dei campionamenti. "All'inizio usavo campionamenti, ma non mi davano abbastanza varietà per quanto riguarda gli arrangiamenti, era come un fattore limitante, non c'erano abbastanza opzioni. Quindi se avevamo una melodia in testa, dovevo tentare di farla funzionare con i campionamenti e alla fine ho deciso che era troppo costrittivo per fare ciò che volevo. Ci vuole molto più tempo così, usare i campionamenti è come fare un collage, mentre con gli strumenti devi andare in uno studio a registrare. Si impiega molto più tempo ma questo processo offre molto possibilità in più."
Vista la qualità degli arrangiamenti del disco, chiediamo che tipo di educazione musicale abbia ricevuto. "Siamo cresciuti con l'hip-hop ma poi ho iniziato a studiare chitarra classica, ciò mi ha aiutato nel processo della composizione. Era molto più facile capire e imparare cose sugli altri strumenti, quindi dalla chitarra sono passato al contrabbasso e al basso, ma non so suonare i fiati e il sassofono. Quindi ho scritto le parti e ho chiamato un sassofonista per suonarle. Il suo modo di suonare è parte integrante del sound, ha uno stile unico, per niente pulito. Prima avevo un altro sassofonista con uno stile più tranquillo e rilassato, poi ho chiamato questo e gli sono molto grato per il suo lavoro."
Riguardo alla musica che ascolta in questo periodo, evidente pallino degli intervistatori, ci dice: "Mi piacciono molte cose ma di recente sto ascoltando cose che esplorino le possibilità di un singolo tono o timbro, ad esempio un strumento manipolato per esplorare tutte le sue possibilità sonore. Quindi piuttosto che uno strumento legato ad un genere convenzionale, ad esempio un sassofono jazz, un sassofono, che è uno strumento nel quale si soffia per produrre suoni, impiegato per produrre suono puro e semplice."
Ci riteniamo soddisfatti e ci complimentiamo con loro per il concerto che, salvo miracoli, potrebbe essere stato il migliore tra quelli in programma a Udine nel corso dell'anno. Mentre scendiamo in strada per cercare un posto in cui cenare ci sentiamo entusiasti, continuiamo a parlare di loro, della musica, dello spettacolo che hanno dato. È bello quando anche in piccole realtà come quella udinese ci sono eventi del genere, perché fanno entrare stimoli nuovi, quasi dei piccoli miraggi tra le mura di una casa fin troppo angusta. Speriamo che, grazie al supporto di un pubblico che è evidentemente desideroso di farsi sorprendere, sia possibile anche far crescere questa realtà.

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